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Daniela Comani • Book launch - Comanicasino

A CURA DI
Angela Madesani

22.09.2006

Presentazione della pubblicazione di Daniela Comani, con un testo di Angela Madesani edito da Revolver-Archiv für aktuelle Kunst, Frankfurt am Main, 2006

Testo critico

Dal particolare al molteplice
Note sul lavoro di Daniela Comani, di Angela Madesani
(tratto da: Comanicasino, Revolver-Archiv für aktuelle Kunst, Francoforte sul Meno, 2006)

Se fosse possibile osservare con uno sguardo d’insieme, attraverso un grandangolo molto allargato, il lavoro di Daniela Comani si potrebbero scorgere dei filoni, delle trame che si sviluppano nel corso del tempo con coerenza, ma anche con una sorta di positiva ossessione.
Una delle trame che è possibile percorrere è quella dell’indefinibilità del circostante. In DoubleDrawings (1995-2005), disegni semplicissimi su carta da lucido l’immagine non è immediatamente leggibile. Più immagini, infatti, si sovrappongono. La lettura in questo modo è resa più complessa: il riferimento al pensiero, alle diverse sfaccettature dell’esistenza è ovvio.
In un video del 1994 Mosca-Tokyo le immagini del tragitto della Transiberiana, che Comani aveva percorso, sono sovrapposte a quelle delle masse di persone che si muovono veloci nelle strade di Mosca.
La realtà non è immediatamente leggibile, necessita di attenzione, di discernimento. Il tempo che normalmente si dedica alla comprensione delle cose è troppo poco, le pause di riflessione sempre più risicate. Come se non ci fosse il tempo per la noia, per gli sguardi, per le soste. Si tende alla semplificazione, alla riduzione senza problemi di sorta: così tutto risulta più veloce, all’insegna del funzionalismo e della praticità.
Confusione, difficoltà di interpretazione è anche in Comunicazione vs estraniamento del 1993, in cui alcune persone leggono dei testi in una lingua diversa dalla loro. Di primo acchito non si capisce nulla. Prestando maggiore attenzione si riesce, poi, a cogliere la natura dell’operazione. Tracce, frammenti che rendono il tutto profondamente straniante. Non è possibile cogliere le sfumature, ma neppure il senso di quanto viene letto. Quella che potrebbe apparire una dimensione dialogica in realtà non lo è. Nessuno riesce a comunicare, a comprendere. Il mondo, quello del 1993, ma anche quello di oggi, la società occidentale segnata sempre più dall’arrivo di nuove culture, di nuovi modi di vedere in realtà comunica ben poco: Iraq docet.
In pochi si sforzano di comprendere, vessati da un qualunquismo stupido, attraverso il quale tentano - tentiamo? - di difendere il proprio orticello.
Definire, a fronte di tutto questo, il lavoro di Daniela Comani di matrice sociale mi pare limitativo. Vi è qualcosa di diverso, di più profondo che entra nelle corde sommerse del personale, del particulare. Non si tratta di intimismi, piuttosto di punti da cui si dipartono riflessioni più ampie. Dal micro al macrocosmo.
Nei suoi lavori è sottolineata la molteplicità, il pluralismo possibile di quanto ci circonda quotidianamente. Così da sottolineare gli eccessi di una comunicazione, di un’informazione in cui il troppo tende a cancellare la precisione l’essenza delle cose. Non esiste la verità, piuttosto esistono tante verità che dobbiamo prendere in considerazione. Comani, in tal senso, prende in esame la logica del sistema televisivo.
In Palinsesto (1997) è un accavallarsi implacabile di dati, notizie, informazioni. Lo stesso principio è anche presente nei lavori successivi in cui vengono raccolte tipologie, possibili classificazioni: donne in Printed Women, (2000), donne giapponesi in Printed Women #2 e in Office Ladies (2001-02), uomini felici in Happy men (1998-99). Con altre immagini ha dato vita a dei puzzle: Gioca anche tu! (1999). Per riuscire a leggerle nella loro interezza, per cercare di coglierne il senso è auspicabile una certa lentezza di approccio, che esige un pensiero, un ragionamento. Quando ha messo i puzzle nelle mostre il pubblico doveva cercare di costruirli, studiando e riflettendo. Le opere “guarda e dimentica”, realizzate con la logica della trovata, dell’effimero consumistico, sono bandite. Fonte iconografica precipua di Daniela Comani è la stampa, da cui ricava immagini di ogni genere e tipo. Così riesce a ottenere la spersonalizzazione tipica del concetto di molteplicità, che riporta anche nei suoi disegni.
Da qualche anno sta lavorando, sempre sul complesso tema della difficile lettura, dell’interpretazione inficiata delle cose, del doppio ontologico e esistenziale a Un matrimonio felice (2003-05). Si tratta di immagini fotografiche della solita coppia di sposi, colta in diversi momenti della vita. Ma gli sposi hanno tra loro una strana, inquietante somiglianza. Si tratta, infatti, dell’artista stessa che interpreta i due ruoli di maschio e femmina. Non si pensi però a qualcosa di caricaturale, da travestitismo di provincia, piuttosto una ricerca all’interno del proprio mondo, senza elementi aggiunti, sulla propria identità. La riflessione è sul rapporto che ognuno di noi intrattiene con se stesso ogni giorno della sua vita.
Attraverso la banale riproduzione del cliché del maschile-femminile, della coppia, Comani va a indagare nel profondo sociale e individuale. Di taglio autobiografico è anche Sono stata io. Diario 1900–1999 (2002). Una sorta di calendario, in cui in prima persona Comani testimonia trecentosessantacinque giorni diversi, accaduti in anni diversi. Lo fa come se queste cose fossero capitate a lei, come se di volta in volta fosse Hirohito, Hitler o Einstein. Si tratta della storia letta attraverso il filtro dell‘io.
La storia siamo noi. Artefici e vittime al tempo stesso. Anche i grandi eventi passano attraverso il singolo che offre il suo contributo e la sua interpretazione dei fatti. La verità in quanto tale non esiste. La nostra esistenza, il nostro mondo sono segnati dal dubbio, principio ontologico della realtà.

www.danielacomani.net