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Organizzazione non profit per l'arte contemporanea

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Giovanna Trento

Dal 02.03.2003 al 23.04.2000

Ho scritto il seguente testo per il catalogo di Molteplicittà, una mostra sulla città e gli spazi urbani a cura di Bartolomeo Pietromarchi, che ha avuto luogo a Roma, presso la Fondazione Adriano Olivetti, nel 1999.

Territorio, Autobiografia, Comunità

Sono una ragazza di città, come me lo è mia madre e lo è sempre stata mia nonna, coloro con le quali sono cresciuta. Durante l’infanzia e l’adolescenza, concepivo solo il mare come possibile alternativa o antitesi alla città. Con il tempo e tramite il mio lavoro, ho scoperto che tra il mare e la città e tra una città e l’altra vi sono la terra, la strada e la campagna.

Una traiettoria ideale, che conduce da un punto ad un altro e da uno stato psicofisico ad un altro, possiede la bidimensionalità della linea. Viceversa, i tracciati possono acquistare una qualità tridimensionale qualora lo spostamento compiuto diventi un vero e proprio attraversamento che comporti il contatto e la definizione di un territorio, che si estenda a comprendere luoghi e stati differenti.

Il territorio così percorso e praticato diventa il camminamento della vita. Fluido e multiforme, questo terreno si configura come lo spazio mobile dell’esistenza personale e collettiva, luogo dell’esperienza quotidiana e dell’immaginazione, costellato di legami che si stringono e si disfano, di azioni reiterate, di crolli e di epifanie.

La città, agglomerato, nome chiave, emblema, simbolo, misura, snodo, collegamento, crocevia, campo di forze, condensa in sé incontri, scontri, movimenti e flussi. Osservo la gente che passa, le macchine che scorrono: qualcuno svolta, un altro attraversa, c’è chi si ferma, chi rallenta e poi accelera. Guardo a tutto ciò come ad un processo dinamico di comunicazione: uno svolgersi e svilupparsi di energie, di eventi e di interazioni che rispecchiano l’andamento della mia e della altrui esistenza, nell’attesa partecipe ed attiva del “timing” e della gioia che esso mi dona.

Roma, New York, Napoli, San Francisco, Kinshasa, Teheran…: vado con il pensiero ai nomi di alcuni luoghi chiave della mia vita che mi riportano alla mente strade, costruzioni, odori, rumori e le impressioni, le idee e le sensazioni ad essi associate. Rivedo volti, ascolto nuovamente stralci di conversazioni, riconsidero possibili scelte, situando ogni evento con precisione. Scandisco i vari tempi ed i molti luoghi che mi affollano all’unisono la mente; la sincronia della mia autobiografia si scontra e si sposa con la mia presenza fisica a Roma: oggi, lunedì pomeriggio alla scrivania.

La necessità che avverto di nutrimento interiore, di sincronia e di limpida comunicazione interpersonale presuppone la presenza di interlocutori partecipi. Chi come me si sposta nelle città, attraversa dei territori e racconta la propria biografia vuole ritrovarsi in loro. Desidero sentirmi avvolta da una comunità, che non intendo però come un gruppo chiuso, stretto da legami di parentela, etnici, linguistici, generazionali…, ma vedo piuttosto caratterizzata da un senso diffuso di affinità.

Scrivo, e così facendo porto chiarezza nel territorio della mia mente. Ma nel fermare sullo schermo del computer il tracciato dei miei pensieri, mi rendo conto di seguire i modi propri della comunicazione orale: nel raccontare sono spinta, innanzi tutto, dalla ricerca di un rapporto inconscio con il mondo e dal desiderio, misto a paura, del contatto profondo con esso.

Ottobre 1999
Giovanna Trento